giovedì 27 gennaio 2011

Voi che vivete sicuri
nelle vostre tiepide case,
Voi che trovate tornando a sera,
il cibo caldo e visi amici:
Considerate se questo è un uomo
che lavora nel fango
che non conosce pace
che lotta per mezzo pane
che muore per un si o per un no.
Considerate se questa è una donna
senza capelli e senza nome
senza più forza di ricordare
vuoti gli occhi e freddo il grembo
come una rana d'inverno.
Meditate che questo è stato:
vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
stando in casa andando per via
coricandovi, alzandovi.
Ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa
la malattia vi impedisca
i vostri nati torcano il viso da voi.


L’autore, Primo Levi, era un deportato ad Auschwitz che sopravvisse perché era stato mandato in un campo di lavoro. Egli con questa opera voleva “condannare” gli uomini che erano a casa perché non avevano impedito il massacro degli ebrei.
Questa poesia è formata da: una quartina, due cinquine, una sestina e infine una terzina.
Il linguaggio è semplice e comprensibile, lo stile semplice, netto e chiaro.
Ci sono delle anafore: voi, che, senza, considerate, meditate.
Ogni strofa ha un significato particolare: la prima si riferisce alle persone che non sono ebree e che non si trovavano nei campi di sterminio, la seconda è riferita agli uomini ebrei all’interno del campo e con pochi versi Levi racconta la loro sofferenza e la loro angoscia, la terza è riferita alle donne ebree che hanno perso la loro identità e anche la possibilità di procreare; a causa della crudeltà dei tedeschi, la quarta è una testimonianza su ciò che era accaduto realmente e infine la quinta strofa è come una maledizione per i figli dei “non ebrei”.

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